
Nella Carne il Silenzio è il sottotitolo della nuova messa in scena di Amleto realizzata dalla Compagnia Laboratorio di Pontedera.
Si tratta di un percorso di lavoro diverso rispetto a quello seguito con lo spettacolo precedente Amleto: essere pronti è tutto.
Questa nuova esperienza, oltre ad un diverso cast e all’interpretazione di Amleto da parte di Tazio Torrini, segue un’idea drammaturgia che interroga il testo di Shakespeare con altre domande.
Le “forze” che spingono la storia a realizzarsi sono incarnate da sei duellanti mascherati che costringono Amleto a ripetere il proprio destino e le parole già mille volte ascoltate.
E mentre da varie metamorfosi dei “duellanti” prendono vita i personaggi dell’opera, senza che ci siano ruoli unici assegnati, Amleto è circondato da Re, Regine, Spettri, Ofelie, Orazi e Poloni che si moltiplicano prendendo corpo intorno a lui per spingerlo verso la sua “fine.
Ed è dalla carne di Amleto, giunto al limite della sua storia e della sua esistenza, che scaturisce il “silenzio” di fronte a cui le domande restano sospese, così come resta sospesa la sua vendetta per l’assassinio di suo padre.
Nella carne il silenzio si presenta quindi come un spettacolo nuovo, in cui si è voluto sperimentare, ad un anno di distanza, il senso della rielaborazione teatrale di uno stesso tema, raccogliendo altri risultati che anche per il pubblico saranno completamente diversi dai precedenti.
L’ASTUZIA DELL’ESSERE QUI ED ORA
Come nelle vecchie dispute e nei duelli filosofici, l’accusato aveva un’ora di tempo per preparare la sua discolpa e la sua difesa.
L’ora e il momento: Amleto ha davanti a sé un tempo reale per spingersi oltre, procrastinare, indugiare, ma è pronto ad accettare, in ogni momento, la sua ora.
I duellanti sono i garanti di questo tempo a cui lo incatenano con le loro metamorfosi. Lo “confondono”, spingono la storia verso quella cadenza la cui ultima battuta è il duello finale con Laerte.
La macchina di ferro, solidale con i duellanti, scandisce il battito.
L’inizio segna l’avvio del movimento della rugginosa struttura che riprende a battere i suoi colpi, dissonante, onirica, affaticata, e suoni e “parole parole parole…” accompagnano, nel mutare delle scene, questo compito, grande e pesante, come la pancia cigolante di una vecchia nave che porta Amleto verso il suo destino.
Gli addetti a questa macchina, i duellanti, obbedienti al compito a cui sono condannati, accompagnano i suoi meccanismi, si esercitano con intimità devota, esseri dell’interno, come i fuochisti, che non vedono la luce del sole, l’orizzonte del mare.
Si fanno carico del reperto fuori uso della tradizione dell’Amleto, mentre nella sproporzione tra la veloce leggerezza delle loro metamorfosi – la storia che scorre come sabbia tra gli ingranaggi lenti e faticosi – e quello sferragliante procedere, Amleto coltiva l’astuzia, ancora una volta, dell’essere qui ed ora.