
storia di un amore o di quel che ne restò
Faust, firmato il patto col diavolo, recupera la sua giovinezza e comincia il suo viaggio nel mondo accompagnato da Mefistofele.
La sua prima vittima è Margherita della quale si innamora, la seduce, ne ammazza il fratello e poi la abbandona. La fanciulla per sbaglio uccide la madre con un sonnifero, nella disperazione affoga suo figlio: è arrestata e condannata a morte.
Faust va per liberarla dal carcere con l’aiuto del demonio, ma la poveretta resta, accetta il castigo e salva la sua anima. Faust si ritira con il diavolo pronto a continuare il suo viaggio verso nuove rive dalle quali soddisfare la sua voglia di conoscenza e di potenza.
Raccontata così, questa dolorosa vicenda, è una storia da melodramma e non a caso ha ispirato molti musicisti da Gounod a Boito.
E’ questa la seconda tappa del mio lavoro sul mito di Faust: nella prima ero guidato dal Doctor Faustus di Thomas Mann; in questa invece, al di là di alcune citazioni di altri autori, il testo dominante è quello di Goethe nella traduzione di Fortini, dalla lucente forza poetica. Ad esso non sono potuto sfuggire, ad esso mi sono inchinato anche se nell’inchino ho cercato di mescolare il gioco quasi come una forma di sberleffo da vecchie comiche. Ma non è possibile usare la derisione davanti a Goethe, c’è piuttosto una nostalgia verso un inattingibile originale, davanti ai nostri occhi si apre un mondo così vasto – che è il mondo della cultura dell’occidente con tutte le sue certezze e paure, follie e utopie e slanci, un mondo che può dare la vertigine.
Nella scrittura drammaturgica fra le altre scene manca anche la notte di Valpurga, ma questa notte dà l’aria e possiede tutto il percorso teatrale spesso visto come un incubo, dentro il quale si svolge la vicenda.
Davanti a testo così ricco, quasi cristallo inattaccabile, ho voluto cercare mezzi poveri per poter in parte restituirne la poesia e una compagnia giovane per poter trovare riflessioni che ci collegassero al nostro tempo e al nostro oggi; e a noi, studenti della nostra stessa immaginazione, al di là di uno sguardo tenero su Margherita, in attesa di albe non livide, conviene ricordare questa frase di Goethe: “non v’è mezzo più sicuro dell’arte per rifuggire al mondo, e non v’è mezzo più sicuro dell’arte per collegarsi ad esso”.
Dario Marconcini